Belvedere Marittimo

Belvedere Marittimo è un comune italiano di 9 298 abitanti della provincia di Cosenza in Calabria.

Il centro abitato si compone di due parti distinte: il borgo medievale, che sorge su una sporgenza rocciosa situata a circa 150 m al disopra del livello del mare, e la parte più propriamente marinara, sviluppatasi sul litorale e nota come Marina di Belvedere a 5 m s.l.m. Quest’ultima, edificata in epoca più recente, ospita attrezzature e residenze turistiche. La cittadina gode di un clima invernale particolarmente mite e di estati calde, ma non torride.

Uno dei monumenti più antichi è la chiesetta del Rosario, sul cui portale, in pietra arenaria, è inciso l’anno 1091. In Contrada Rocca è presente una torre di osservazione a base quadrangolare romana. Nella parte antica figura il castello, di origine normanna, ma ricostruito dagli Aragonesi. Inoltre, è presente la casa natale di san Daniele Fasanella, patrono del luogo.

Un importante crocifisso ligneo risalente agli inizi del XVIII secolo (1711) è presente nella Chiesa omonima situata nel centro storico del paese. Eretta ai margini dell’abitato, a ridosso delle antiche mura della città, sul pendio che declina ripidamente verso il fondo della stretta vallata dove scorre il fiume Soleo, la Chiesa del SS. Crocifisso di Belvedere si presenta oggi con un sembiante molto semplice, quasi dimesso, che ad un primo sguardo farebbe pensare ad una storia circoscritta in confini temporali ristretti. Basta entrare, però, nella piccola chiesa per rimanere sorpresi di fronte alla splendida scultura che campeggia sull’altare maggiore, un gigantesco Crocifisso ligneo risalente agli inizi del Settecento, testimonianza di un luminoso passato che contrasta fortemente con le modeste condizioni attuali, rendendo ancor più doloroso il confronto tra la realtà presente ed il ricco e importante percorso storico dell’antica chiesa. La sua edificazione fu avviata nel 1599 dai confratelli della Congregazione di Santa Maria del Pianto, “eretta con le continue e larghe limosine dei cittadini”, le cui Regole vennero approvate dal Vescovo di San Marco Argentano, Mons. Giovanni Girolamo Pisani, il 14 novembre di quell’anno. In documento del 4 luglio 1728 la chiesa viene chiamata con la duplice denominazione di “Santa Maria del Pianto” e del “SS. Crocifisso”, che ricorre in molti atti della prima metà del Settecento, allo scopo di identificare in maniera più precisa il sacro edificio, che aveva cambiato nome agli inizi del secolo. La chiesa fino al 1708 viene indicata nei documenti come Chiesa di Santa Maria del Pianto, e dal 1722 come Chiesa della Confraternita del SS. Crocifisso. Era stata dunque la Confraternita a cambiare nome e a modificare, di conseguenza, anche il nome della propria chiesa. In un atto del 1732 si legge infatti: “Confraternita laicale della Venerabile Chiesa di S. Maria del Pianto, hoggi riformata e detta il SS.mo Crocefisso”. Ma cosa determinò tale “riforma”? La risposta è da individuarsi nella scultura lignea raffigurante Cristo crocifisso collocata sull’altare maggiore, una superba opera d’arte, di inestimabile valore, realizzata nel 1711, epoca in cui, quasi certamente, la chiesa assunse la nuova denominazione di SS. Crocifisso. La nuova intestazione trovava piena rispondenza nello stesso motivo ispiratore della congrega, ovvero la compartecipazione alle sofferenze di Cristo quali fratelli flagellanti, che praticavano penitenze severe soprattutto durante la settimana santa, per provare sul proprio corpo i supplizi della Passione. Quella “croce di legno” posizionata sull’altare, davanti alla quale sostavano in preghiera i confratelli, venne sostituita nel 1711 con l’attuale Crocifisso in legno scolpito e dipinto, ordinato da un autorevole committente, il cui nome è rimasto finora ignoto, che doveva sicuramente avere una grandissima sensibilità artistica ed una notevole apertura verso le novità, oltre che una profonda religiosità. Inoltre, doveva mantenere influenti contatti con l’ambiente artistico napoletano o pugliese, territori ove operava in quegli anni l’autore della scultura, o perlomeno con i principali rappresentanti locali dell’Ordine Domenicano, probabilmente attraverso gli importanti conventi di Bonifati o di Guardia Piemontese, dal momento che il geniale artista del Crocifisso, il chierico secolare Pietro Frasa, era legato alla famiglia dei domenicani tramite l’amicizia ed i rapporti di collaborazione con il venerabile P. Ludovico M. Calco, insigne esponente dell’Ordine dei Predicatori, familiarità che si protrasse sino alla morte del Calco, avvenuta a Troia il 20 agosto 1709, quando ancora non aveva compiuto 40 anni. Pietro Frasa, nato a Milano il 27 giugno 1678 da Giosafat ed Eleonora Goldaniga, e morto a Foggia il 9 maggio 1711, era un noto predicatore, e la sua idea di riforma cristiana del mondo passava attraverso l’immagine di Cristo in croce, unico modello da imitare per gli uomini, e per rendere questo modello il più possibile presente davanti agli occhi dei fedeli, nel 1708 fece intagliare due crocifissi da uno scultore milanese, Giovan Battista Antignati, e poi li dipinse: “Fatti dunque scolpire due simulacri di Gesù steso in croce, egli stesso li volle dipingere, con quell’espressione di piaghe, che ne fecero i Profeti e lo stesso Cristo, rivelandosi a’ Santi ancor viventi”. Oggi quei crocifissi si trovano uno nell’Oratorio di San Gaudenzio a Galliate (NO) e l’altro nella Chiesa di S. Pietro a Oggebbio (NO). In quello stesso anno si recò a Roma, e da lì si spostò in Puglia insieme al Padre Ludovico Calco. Anche qui, prima che lo sorprendesse la morte all’età di soli 33 anni, realizzò due crocifissi, uno per la Cattedrale di Troia ed uno per la Cattedrale di Foggia, più un terzo, poi scomparso, per la città di Biccari (FG). Il Cristo crocifisso di Belvedere, che replica quello della Cattedrale di Foggia, tranne lievi variazioni, potrebbe essere il Crocifisso di cui si erano perse le tracce, realizzato dal Frasa nel 1711 destinandolo, secondo i testimoni che deposero al processo troiano per la causa di beatificazione di P. Ludovico M. Calco, alla Chiesa Matrice di Biccari, ma del quale non rimane alcuna traccia in quella cittadina né sul territorio pugliese, né ne parlano i documenti dell’epoca, se si escludono le dichiarazioni dei testimoni. Dunque, l’opera di Belvedere potrebbe essere proprio quel Crocifisso “misteriosamente scomparso”. Per il Crocifisso belvederese fu chiaramente usato lo stesso disegno dell’opera foggiana, con il Cristo morto che presenta il capo abbandonato sulla spalla destra, mentre il corpo si contorce a spirale ed il sangue scorre a rivoli dalle numerose ferite, una raffigurazione potente e terribile allo stesso tempo, il cui effetto sullo spettatore è ulteriormente accentuato dalle enormi dimensioni della statua: un realismo esasperato, intriso di esaltata drammaticità, non esente da gigantismo espressivo ancora legato agli stimoli caravaggeschi, in cui le figure presentano una cruda realtà. Molto probabilmente si tratta di suggestioni riprese dal dipinto raffigurante la Flagellazione di Cristo del Caravaggio, già a San Domenico Maggiore, ora a Capodimonte, evidentemente utilizzato dal Frasa come idea per i crocifissi di Belvedere e Foggia, che mostrano la stessa plasticità e struttura compositiva, e dove la resa naturalistica si esprime con forza nella torsione del corpo martoriato del Cristo. È possibile che egli abbia visto il dipinto del Merisi durante i suoi frequenti viaggi a Napoli, dove forse dimorava presso il convento domenicano di San Pietro Martire, in cui soggiornava anche il compagno di viaggio P. Ludovico M. Calco. Il Frasa si recava spesso nella città partenopea per controllare l’andamento dei lavori d’intaglio commissionati ad uno scultore del quale il Vescovo di Troia, Mons. Emilio Giacomo Cavalieri, riferendosi al Crocifisso di Foggia, scriveva: “L’artefice dell’immagine è stato uno scultore di Napoli, ma non mi sovviene il proprio nome, ma so che abita dirimpetto al Regio Palazzo nelle botteghe di Padri della Compagnia, dove anno passato v’osservai una simile, quale teneva pubblicamente esposta in vendita”. Il lavoro d’intaglio, infatti, venne realizzato da un artista napoletano, mentre il Frasa si riservò le rifiniture e la pittura, e suo fu pure il progetto, eseguito dallo scultore sotto la sua costante direzione. Nonostante le dimenticanze di Mons. Cavalieri, e considerate le numerose coincidenze che caratterizzano la vicenda, legata soprattutto alla produzione scultorea in ambito pugliese ed in particolare in Capitanata, a mio parere non è azzardato inserire i crocifissi di Belvedere, Foggia e Troia, nel corpus di uno dei maestri più affermati che dominavano, fra Sei e Settecento, lo scenario della statuaria lignea napoletana, Giacomo Colombo, o della sua bottega. Parte del territorio comunale di Belvedere Marittimo è inclusa nell’area protetta del Parco nazionale del Pollino.

Ogni anno a Belvedere si può assistere alla manifestazione “Note di fuoco”, un festival pirotecnico, al quale partecipano le tre nazioni migliori del mondo in questo campo. La durata della manifestazione varia da un minimo di 3 giorni ad un massimo di 6 (nella prima edizione del 2007) e si articola in spettacoli di grande richiamo e in una serie di iniziative volte ad attrarre un pubblico sempre più numeroso. Nel 2007 è stata raggiunta la presenza record di 200.000 persone per lo spettacolo dei fuochi artificiali.

 

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